Hanoi è affascinante, misteriosa, legata alle tradizioni e a una storia orgogliosa. Gli incensi che ardono nella stanza degli antenati, il culto di zio Ho, la carne di cane che si mangia nell’ultimo giorno del mese lunare. E’ l’Oriente della piccole magie, del furore che diventa sorriso e del sorriso che inganna. L’Oriente che strega e conquista, che imprigiona l’animo e non lo libera più. L’Oriente che cancella i desideri e accende le passioni.
Sogni e speranze sono sempre affidati all’altare degli antenati, consegnati alle carezze di fumo che lo avvolgono nella stanza delle preghiere, luogo sacro di ogni casa, dove gli incensi bruciano lentamente, scale invisibili che collegano la terra al cielo. Le auto corrono in strada, fra motorini e rumori di clacson, tra donne piegate sotto il peso degli antichi bilancieri, carichi di merci e di cibo. Nel Quartiere Vecchio scivolano trisciò a pedali e i giovani si ritrovano nei cyber bar, per chattare senza fili con il mondo bevendo tè verde o Coca Cola. Ma per un futuro migliore, la tradizione prescrive ancora un banchetto a base di carne di cane da fare nell’ultimo giorno del mese lunare, brindando con Vodka Hanoi, intruglio alcolico che infiamma lo stomaco e può condannare senza appello a tormenti intestinali.
PICCOLE MAGIE Hanoi è questa. E’ l’Oriente della piccole magie, dei riti semplici e intensi, del furore che diventa sorriso e del sorriso che inganna. L’Oriente che strega e conquista, che imprigiona l’animo e non lo libera più. L’Oriente che cancella i desideri e accende le passioni. Hanoi è il Vietnam rimasto quasi puro, dove le donne abbassano gli occhi se scoprono che lo sguardo vuole essere un inizio di seduzione ma alzano la testa e accettano la sfida se capiscono che la famiglia o il paese hanno bisogno del loro aiuto. Sono madri, sono state guerrigliere, sono lavoratrici instancabili e la città dedica loro un museo, unica, forse, nel panorama mondiale, a celebrare la fatica e la dolcezza femminile. Con il velo, però, imposto dall’ideologia. C’è una statua bellissima, la Madre del Vietnam, tre metri e mezzo di un’affascinante e fiera figura femminile che tiene in braccio, poggiato sulla spalla, il piccolo paese nato da poco. L’opera è di uno sculture affermato, Nguyen Phu Cuong: una cupola simboleggia un seno materno, con un grande capezzolo rovesciato dal quale scendono gocce di latte, rappresentate da pietre luccicanti. Nel museo si celebrano le donne in battaglia, al lavoro nei campi, si esalta il loro impegno nel sindacato, quello politico contro il colonialismo, ci sono perfino curiose foto di Miss e donne della tribù Kinh che indossano impermeabili di foglie di palma. Ma del lavoro in casa, degli equilibri familiari, della fatica quotidiana fra le mura domestiche non si fa cenno. Forse perché qui la donna è – e si vuole che resti – vittima obbediente di decisioni altrui: l’uomo è il suo imperatore.
Corre il Vietnam, con un 8 per cento stabile di incremento annuale del prodotto interno lordo, ma ci sono cose che restano immobili, immutate nel tempo. La tradizione è un valore da custodire e la famiglia non muta nei suoi equilibri in questa giovane metropoli che sta per celebrare i suoi primi mille anni. Era il 1010 dopo Cristo quando venne fondata e il suo primo nome fu <Thang Long>, la città del drago che vola in alto. Con il correre dei secoli ha cambiato nome diverse volte e per alcuni decenni venne chiamata <Dong Kinh>, capitale dell’Est, fonetica alla quale si ispirarono gli europei per ribattezzare tutto il Vietnam settentrionale, chiamandolo Tonchino.
LE TRENTASEI STRADE Ciò che in Hanoi non è mai mutato troppo, è quella sua atmosfera quasi magica, un fascino misterioso che avvolge chiunque si ritrovi a passeggiare nelle stradine tortuose del Quartiere Vecchio, quello che i francesi chiamarono Cité Indigène, fra le Trentasei strade dove si scolpiscono lapidi o intrecciano stuoie, dove si battono gli argenti o si affidano al vento gli aromi delle erbe. Da lì, non si andrebbe mai via. Si passeggia inseguendo un ricordo, un’atmosfera, un sogno, immaginando come era e come sarebbe stato bello – forse – esserci allora. Vicoli che nascono e muoiono in cortili ombreggiati, rumori, profumi, ceste, sandali, ristorantini attrezzati sui marciapiedi, amache stese a regalare un riposo, mercati, pesci che saltano nelle vasche, barbieri. Tutto come era uno, due, tre secoli fa.
Hanoi vive un presente inevitabilmente legato al passato. Lontano e recentissimo. Ricordi di guerra, fatti di monumenti, cimiteri, ma purtroppo anche di tragedie attuali scatenate dalle conseguenze dell’agente Orange, il diserbante usato dagli americani che fa ancora nascere bambini malati o deformi. Chi arriva dall’Occidente non sfugge a un senso di colpa che lo accompagnerà per tutto il viaggio e, magari, anche dentro la prigione di Hoa Lo, quella che venne ribattezzata Hanoi Hilton e che fra i prigionieri americani ha visto anche lo sconfitto sfidante di Obama, il repubblicano McCain, che qui rimase per anni. La visita è dura, emotivamente impegnativa, non adatta ai bambini. Quello che invece non si può perdere è il Mausoleo di Ho Chi Minh. E’ un’inutile fatica svegliarsi all’alba per mettersi in attesa alle 6 di mattina e provare ad evitare la coda: gente in attesa c’è sempre, dunque tanto vale prendersela comoda. Perquisizione, metal detector, e in fila per due per entrare. Nulla, neppure nel comportamento dei visitatori, deve essere meno che marziale. Il passo deve essere lento e cadenzato, come quello della guardia d’onore che veglia il corpo di Ho Chi Minh 24 ore al giorno, ogni giorno dell’anno, con cambi fissi ogni 5 ore. Dentro, nel gelo, Ho Chi Minh è disteso, protetto da cristalli talmente puliti che sembrano non esistere. Indosso ha una giacchetta scura da funzionario, il volto sereno, i capelli striati di bianco, la bocca segnata in un lieve sorriso che infonde tranquillità. La stessa espressione di tutta l’iconografia, dalle statue ai busti, evidentemente ben studiata e ottimamente realizzata. Si passa, si guarda e si va via. La visita dura un attimo: vietate le foto, le riprese, vietato entrare se si è vestiti in modo meno che rispettoso, vietato parlare e stare con le mani in tasca. Un sacrario laico, dove davanti alla morte del corpo si celebra la vita di un grande condottiero.
LE BELLE ARTI Certo, sono più dolci altri panorami, in questa Hanoi che sa concedersi anche a squarci di romanticismo. Succede intorno ai laghi, dove i giovani si ritrovano al tramonto, a confessarsi passioni, a stringersi, quasi in segreto, le mani, a giurarsi amore eterno. Il nord e questa capitale sono ancora prigionieri di pudori antichi e sarà forse per questo che comincia a sbocciare anche qui l’industria del sesso in leasing. Niente di industriale, nessuna villa dei piaceri proibiti, ma nei centri estetici di qualche albergo, accanto ai banchi della reception spuntano le foto delle ragazze che fanno i massaggi. Non essendoci alcuna descrizione delle qualità professionali, vince il criterio estetico: si sceglie la più carina. E perché mai? Corre il Vietnam, e si adegua. Anche perché se una ragazza non viene scelta per un paio di settimane, il suo destino è segnato: viene cacciata. Socialismo di mercato, si diceva, un severissima terza via.
Lo sviluppo è spesso esercizio faticoso della mediazione. Succede nell’arte, che ad Hanoi ha espressioni molte alte. La Francia istituì all’inizio del secolo scorso una formidabile scuola di Belle Arti che contribuì alla formazione di una promettente classe di pittori. Nessuna adesione obbligata allo stile europeo ma insegnamento nel rispetto delle tradizioni locali, lacche comprese. Ne è nata una scuola vietnamita – passata naturalmente anche attraverso la pittura di propaganda – che oggi propone artisti apprezzati in tutto il mondo. Basta fare un giro per le gallerie d’arte – da non perdere la Apricot – per avere un’idea delle suggestioni – e dei prezzi – che questi autori sanno offrire. Per avere un’idea completa, meritano la visita il Museo delle Belle Arti e quello Etnografico, oltre, naturalmente, al tempio della Letteratura, vera istituzione. Come il Pho, la zuppa tradizionale di tagliolini e carne. La più buona si mangia nella catena Pho24, con ristoranti in tutta l’Asia e anche negli Usa e in Australia. Una zuppa costa meno di un euro ed è sufficiente per saziare anche chi è abituato a pasti sostanziosi. E’ gustosa e nutriente. E’ il Vietnam che corre, inseguendo la tradizione. Come lo spettacolo delle marionette d’acqua. Non si può perdere, è unico al mondo. Dura un’ora: ma dieci minuti bastano per tutta la vita.