E’ il mondo che forse noi europei non vedremo mai nel nostro vecchio continente. L’architettura capace di coniugare la sfida estetica con il rispetto per la natura, l’ambiente con la funzionalità. Tanto vale partire subito, allora, per fare un giro a Singapore e provare a vedere questo nostro pianeta come forse l’abbiamo sempre sognato, come sarebbe potuto essere, il futuro che avremmo potuto realizzare. Non la perfezione, ma di certo un modello. Realizzato da questa piccola città stato che in qualche manciata d’anni ha saputo trasformarsi da metropoli noiosa e perfettina, troppo precisa e poco gaudente, in una città che sa vivere, divertirsi e migliorare la propria qualità della vita.
Un miracolo? Più semplicemente un ottimo lavoro. Continuo a pensare che sia un posto “sbagliato”, sbocciato in una parte di mondo che non gli appartiene, non gli è propria, come se una zebra si ritrovasse fra le renne: Singapore starebbe benissimo al confine fra Svizzera e Germania, ma ce lo hanno consegnato qui e non si può spostare. Né si può chiedere loro di modificare abitudini e cultura. Allora tanto vale goderselo al meglio e, come diceva Lao Tze, “Invece di lamentarsi del buio, meglio accendere una candela”. Singapore sta benissimo in mezzo a un tour fra le Filippine e Bangkok, così come potrebbe tranquillamente essere una tappa fra Stoccolma e Francoforte. In ogni caso è un esempio su cui riflettere.
Non una foglia o una carta in terra, non una cicca, intesa sia di sigaretta che di gomma americana. Perché queste ultime, per altro, sono vietate: è illegale importarle, forse non sono previste pene per chi infrange il divieto, ma di sicuro se in frontiera scoprono un pacchetto di chewing gum lo sequestrano. La ragione, giusta per altro, è che “sgommare” le strade, ossia togliere una gomma masticata e buttata in terra, costa moltissimo. Dunque, meglio vietarle. Decisione discutibile, ma qui è così. Come con il fumo, autorizzato anche all’aperto soltanto in piccole aree riservate. Poi c’è la questione degli attraversamenti pedonali: qualunque mezzo inchioda appena vede un pedone sulle strisce, ma se non le rispetti ti puntano senza pietà.
Il tutto disegna uno stato rigoroso e severo che tende a mantenere ordine e controllo sociale. Fra molte critiche, ma il risultato è una città ordinata, funzionale, pulita, dove la criminalità non esiste, le opportunità di lavoro sono numerose, l’immigrazione è regolata con rigidità anche economica: gli stipendi dei lavoratori che arrivano da Filippine, Bangladesh, India e altrove sono bassi ma il merito è premiato e un deciso miglioramento nella propria posizione economica e sociale è una concreta possibilità.
Sanno organizzarsi e realizzare quel che è necessario. Fa caldo e piove e dirotto? Ecco le contromisure. A cominciare dall’enorme estensione di una città sotterranea fatta di negozi, ristoranti, bar, dove la gente si incontra e passa il tempo, magari passeggiando fra una stazione e l’altra della metropolitana: d’altronde qui manca lo spazio e quel che c’è si sfrutta al massimo. E poi sottoterra non fa caldo, c’è l’aria condizionata, non ci si bagna quando piove. Per il verde e l’ambiente, però, lo spazio si trova sempre. Due fantastiche realizzazioni caratterizzano Singapore: i giardini botanici, dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’Umanità, fra orchidee, laghi e cigni, e il Garden by the Bay, una testimonianza di quel che il pianeta poteva essere e rischia di non essere più, serre dove sono raccolte tutte le piante, dalle margherite ai baobab, dove è riproposta la foresta pluviale con un padiglione intitolato, come un ammonimento, a un sogno svanito: “il mondo perduto”. E con il pragmatismo tipico di queste parti, unito spesso anche una spregiudicata politica commerciale, al Garden by the Bay c’è un McDonald, ma nessuno protesta o se ne lamenta e i bambini godono come matti ad azzannare hamburger e patatine. Ambientalismo e cibo spazzatura: un matrimonio considerato quasi impossibile eppure qui felicemente realizzato.
Il vero capolavoro di Singapore è essere riusciti a sensibilizzare il mondo intero sul rispetto del pianeta e la sua sopravvivenza, con passione e architetture che non hanno avuto come conseguenza la rinuncia all’estetica: anzi, tutelando l’ambiente hanno esaltato la bellezza di quel che stavano facendo. Coniugare natura e opera dell’uomo, verde e architettura, è impresa riuscita e spettacolare. Sono coraggiosi, perché oltre ai “Supertree”, i giganteschi alberi fantascientifici, si impone l’icona moderna di Singapore, il Marina Bay Sands, tre torri di 57 piani sormontate da una piattaforma curva di 340 metri sulla quale sorge lo Sky Park, un ettaro di giardini tropicali con osservatorio astronomico e una delle più incredibili e belle piscine del mondo, 150 metri di lunghezza a 200 metri di altezza. E il Ce La Vi, terrazza fra le più trendy. In tutto 2500 camere, bar, ristoranti, un casinò collegato, un affollamento che trasforma il piano terra in una stazione della metropolitana di Tokyo. Difficile immaginare di poter soggiornare qui. Ma l’albergo è sempre pieno, segno che c’è chi si trova benissimo.
Singapore resta una città capace di far convivere molte anime, di assorbire con sapienza tradizioni e culture che ciascun gruppo etnico sa difendere con orgoglio ma anche offrire alle altre comunità: Chinatown, Little India, Kampong Glam, si incontrano e a volte si confondono in un mix di commerci, gastronomie, usi e costumi, mescolati con rispetto e con il risultato straordinario di ogni vero melting pot, migliorare tutti. Una cultura indigena, la Peranakan, ha i suoi luoghi d’elezione e anche un museo, ma la Cultura di quest’area ha finalmente una sede: una esuberante National Gallery, altro esempio di ardita e piacevole architettura basata sul recupero di due storici edifici, è stata inaugurata recentemente con alcune fra le più belle opere del sudest asiatico.
Infinite ragioni per arrivare fin qui. La gastronomia, perché la città è diventata palestra di chef pluristellati che si sfidano a colpi di leccornie a volte incomprensibili – sushi di salmone con pelle di pollo croccante, aragosta con crema di finocchi e ricci di mare, tanto per dirne due, per altro carissimi – ma anche la cucina etnica in infinite declinazioni. E poi la passione per i cocktail. Qui nacque il Singapore Slim, che ha fatto epoca, ma ormai è invecchiato di oltre un secolo ed appartiene all’album dei ricordi. Oggi si beve più robusto e chi vive a Singapore ama sorseggiare sprofondato nelle poltrone di terrazze trendy, in genere in vetta ai grattacieli che offrono panorama e atmosfere e sono una rivalsa alla vita sotterranea del giorno: la notte è aria aperta, è il brindisi tre metri sotto il cielo, musica, glamour, tentazioni. Come accade all’Altitude 1, il bar più alto del mondo, a 282 metri da terra, un panorama unico che domina Singapore. Conto adeguato, ma qui è così.