I 18 anni di Roop sono finiti sulla pira del marito. Bruciati con la sua vita, che ha voluto sacrificare in nome di un antico codice d’onore, vietato per legge e rispettato per dignità. Ma soprattutto per disperazione. Perchè vivere da vedova è peggio che morire, è un inferno quotidiano nell’India che coltiva ancora orgoglio e pregiudizio. Ed è l’incubo di anni infelici che spinge ancora molte donne a immolarsi nel Sati, l’estremo sacrificio che simboleggia davvero l’esistenza al femminile nell’universo indiano: senza un uomo accanto la donna è un nulla, ed allora è meglio scomparire, piuttosto che restare sole.
Terrorizzata dall’angoscia di un futuro in solitudine, Roop ha avuto il coraggio di scegliere la morte e gli uomini del Rajasthan, l’antica terra dei Marajà, le hanno reso omaggio sfoderando per lei affilate scimitarre e marciando per ore intorno al legno che bruciava: con sopra i corpi abbracciati di moglie e marito. Schiava da viva, eroina da morta.
Nell’India del terzo Millennio, le donne non hanno smesso di soffrire. L’altra metà del continente è sottopagata quando lavora, spesso non viene mandata a scuola, a volte si preferisce perfino non farla nascere, perchè una figlia femmina è considerata quasi una iattura. In India ci sono 93 donne per ogni 100 uomini, contro una media mondiale che è di 103-105 donne per ogni 100 uomini. Questo perchè la femmina è comunque un problema, va sposata e le va costruita una dote, che spesso sbanca i bilanci famigliari anche se possono bastare una bicicletta, qualche sari di seta e un televisore. E se la nascita di una figlia non è affatto una gioia, c’è chi si limita a maledire la sorte e chi lotta con violenza contro la natura. Le madri che allattano cospargono il capezzolo di un veleno leggero, estratto dalle foglie e dai fiori della datura. Innocua per gli adulti, questa pozione uccide lentamente le piccole, che sembrano morire per cause naturali. Infanticidi bianchi, li chiamano, di cui nessuno si stupisce. Ma la tecnologia oggi offre armi più sofisticate e con l’amniocentesi si sa in anticipo il sesso di chi nascerà: molte femmine scompaiono proprio dopo questo esame che rivelando il sesso anticipa il destino. E ancora, le morti in casa, conseguenze proprio di promesse non mantenute, di quelle doti trasformate in debito mai saldato: 600 donne all’anno, dal Kashmir al Tamil muoiono in questo modo, con i sari che prendono misteriosamente fuoco accanto ai fornelli. Secondo il ministero dell’Interno le “morti per dote” sfiorano ormai le 10 mila l’anno. E dagli stessi uffici si segnala che in India ogni 51 minuti una donna viene esplicitamente molestata mentre ogni 54 ce n’è una violentata.
Eppure la storia indiana recente è popolata di premier al femminile, di donne leader della politica che hanno saputo governare con successo stati o l’intero paese, come fece Indira Gandhi, che nell’India in bilico tra Medioevo e modernità, fu una delle prime donne premier del mondo. “Siate madri di cento figli” ripeteva alla popolazione femminile di un paese che da sempre lotta contro la fame e un eccesso di popolazione. Oggi le parlamentari sono 39 su 545, e tra di loro ce n’è che incarna alla perfezione il modello di femmina eroica e coraggiosa che può segnare una nuova rivoluzione nella società indiana. Phoolan Devi è stata una ribelle, “La regina dei banditi”, come si intitolava un film che ha raccontato la sua storia. Fu violentata giovanissima da una banda che uccise il suo uomo e lei non pensò ad altro che dare la caccia agli assassini. Li trovò in un villaggio e fu un massacro: mroriono in venti e lei ritorovò la pace: in carcere, dove rimase per unidici anni. Spietata e analfabeta, è diventata l’idolo delle caste inferiori ed è grazie al loro voto che oggi è in Parlamento. Star di Bollywood, come si choiama l’Hollywood di Bombay, la più prolifica industria del cinema del mondo con 800 film prodotti ogni anno, Phoolan Devi dice di essere “una brigantessa a riposo, sicuramente il bandito più onesto tra i tanti banditi incensurati che affollano la politica indiana”.
Nella terra di Gandhi e Madre Teresa, della non violenza e della carità, la speranza in un domani migliore è spesso legata soltanto alla ribellione. Le donne indu protestarono quando Bangalore venne scelta come sede per la finale di Miss Mondo, oggi la rabbia è per quel fiorire di annunci matrimoniali sui giornali: “Bramino cerca bramina”, “Guerriero cerca guerriera”, “dote congrua” richiesta o assicurata, “gradita foto con oroscopo”. Raramente si legge, come insegnava Gandhi, “nessun pregiudizio di casta”. Perchè alla vigilia del Duemila, pochissimi sono disposti a dividere la vita con uomini o donne che la tradizione considera “inferiori”. Quattro caste ufficiali (Bramini, Guerrieri, Mercanti e Agricoltori) sono la separazione di mondi nel continente indiano, e duemila sottocaste hanno tuttora la loro importanza: anche se capita che in fabbrica un bramino lavori addirittura accanto a un intoccabile, a un senza casta, quelli che Gandhi amava come “figli di Dio”. Non è il denaro che divide gli uomini nella Terra dello Spirito, è l’origine a non unirli mai. E per il sesso debole è ancora peggio: perchè nel paese delle vacche sacre, le donne sono il mammifero meno considerato, destinata a bruciare la vita: nei drammi quotidiani, o sulla pira del marito. Come ha fatto Roop, ad appena 18 anni.
Tratto da “La mia Asia – Trent’anni di viaggi in Oriente” Lt Editore
Tempo di lettura, 10 minuti