Feci questa visita ormai molti anni fa e fui uno dei primi ad “entrare” nei faraglioni, in questi giardini dell’Eden che per millenni l’uomo non aveva violato. Conservo un ricordo struggente di quelle visioni. Questo è il racconto del posto, la meravigliosa baia di Phang Nga, poco lontana da Phuket, in Thailandia, e delle persone che ci accompagnarono lì.
Caveman, lo chiamano. Perchè ama grotte e caverne e infilarcisi dentro è la sua passione. Al punto che ha abbandonato una vita dorata tra California e Hawaii, lasciato la cattedra all’università di Honolulu e trasferito la sua anima irrequieta nella baia di Phang Nga, Thailandia del sud, di fronte a Phuket.
«Ciao, italiano».
Ha una mano grossa come un piede e piedi giganteschi per tenere in equilibrio i suoi due metri d’altezza, ha la barba lunga e l’aspetto non curato di un vero cavernicolo. Però profuma di lime e di cocco, perchè ha una moglie thailandese che lo vizia con la passione e l’amore delle donne orientali e quando vede che il sole gli ha seccato la pelle, prende la crema fatta in casa e lo unge.
«E’ la mia terza moglie. Ho cominciato con una bionda californiana, una splendida modella, poi un’americana-giapponese di Los Angeles, e adesso sono il marito di Emporn, la migliore compagna che abbia avuto. Ci siamo sposati in una fattoria di riso, con i bufali a cinque metri: forse è meno carina della altre, ma ha un grande cuore e bisogni semplici».
Caveman si chiama John Gray, ha 48 anni, ed è un ex professore di scienza delle comunicazioni. Ora insegna «come vivere nel migliore dei modi» e le sue lezioni cominciano dal malandato molo di Ao Po, cinquanta chilometri da Phuket, un imbarcadero con le traversine di legno sconnesse popolato da una comunità di ex zingari del mare che passano la giornata a pescare e a giocare a biliardo sotto un pergolato che si affaccia sul mare. Questo è il versante meno frequentato di Phuket, isola di vacanze da sogno, paradiso tropicale per chi in pieno inverno lascia il cappotto nell’aeroporto europeo e sbarca in mezze maniche e calzoncini. Era una foresta di caucciù, adesso è un supermercato di divertimenti dove è possibile costruirsi un su misura della vacanza perchè tra baie e baiette si può scegliere l’albergo isolatissimo o il litorale stile Rimini Rimini: questione di gusti e di tasche, ma ognuno trova quello che vuole.
John Caveman, invece, propone l’avventura, un viaggio in canoa dentro le isole della baia di Phang Nga, per scoprire i segreti che la roccia custodisce da millenni. Nell’era terziaria la baia era una pianura disseminata di alture calcare, poi, intorno a 10 mila anni fa, lo scioglimento dei ghiacci fece alzare il livello del mare: ora il parco naturale di Phang Nga è una palestra di emozioni con 75 mila scogli e isolotti, faraglioni che possono raggiungere anche i trecento metri d’altezza e si inseguono verso l’orizzonte in una fuga ininterrotta di piccole cime, gobbe dolci come colline verdissime che spuntano dall’acqua e si stagliano contro l’orizzonte e sfilano verso l’infinito, in una rincorsa di sfumature dai contorni sempre meno incisi, sempre più sfocati. La mitologia orientale le presenta come la coda di un drago cattivo che venne sconfitto e ucciso e da allora, dalla notte dell’eternità, riposa per sempre nelle acqua di Phang Nga.
«Se li vedi da fuori, come si fa normalmente, dal comodo ponte di uno yacht, sembrano massicci e inospitali, vere e proprie montagne. Invece non serve scalarli: basta trovare il buco giusto per entrarci, e quando sei dentro…. Ecco, passeremo da lì». E lì è il nulla, una fessura tra due rocce, un labbro sottile che si schiude quando la marea si abbassa, circondato da cespugli che spuntano dalla pietra, alberi ritorti, mangrovie che fioriscono a dieci metri d’altezza e lanciano le radici verso l’acqua come dita sottili e assetate. L’unica cosa che non si vede, in questa cattedrale della natura, è proprio la grotta. Appare soltanto quando l’acqua si ritira, in quegli istanti che consentono alle gialle canoe da esploratori di essere inghiottite nella roccia, come astronavi del tempo. Superata la barriera di pietra saremo dove pochissimi uomini sono entrati e dove tutto è rimasto come era stato creato: dall’alba dell’uomo a oggi, qui non è cambiato nulla.
C’è pace e silenzio, dentro il faraglione, c’è il nulla della meraviglia, popolato da minuscoli pesci, da uccelli che non hanno paura dell’uomo e perfino da gibboni che si nutrono di granchi e si affaccino sulla merlatura della roccia per guardano in basso, verso quegli animali strani e così simili a loro, che saremmo noi. E’ l’Eden dei sogni, con il tepore tropicale che avvolge come un abbraccio affettuoso e fa brillare la pelle, gli animali che non hanno paura perchè nessuno li ha mai infastiditi, le piante carnose e sensuali, l’acqua ferma e limpida di una laguna immobile da millenni.
Il sogno dell’Eden dura qualche minuto, perchè per entrare e uscire bisogna obbedire alla marea: altrimenti si rischia di grattugiarsi la pancia o la fronte contro la roccia, perchè in queste catacombe con acqua si scivola distesi sulle canoe, affrontando complicati percorsi di slalom tra stalattiti e stalagmiti. Un breve sentiero di paura, assolutamente sconsigliato a chi soffre di claustrofobia. Ma non tutte le grotte costringono all’avventura.
C’è la caverna dei pipistrelli accessibile a tutti, un gigantesco parco giochi per questi signori della notte, e poi la splendida grotta delle luci, una discoteca dentro la roccia, con migliaia di brillantini che risplendono e riflettono il chiarore della torcia come fanno le lampade psichedeliche piazzate in mezzo alle piste da ballo. E’ fantastica questa centrale pirotecnica che appare come una comitiva di bambini invisibili che tengono accese in mano le stelle filanti di capodanno, come il cielo stellato di un presepe. A cercare la spiegazione scientifica si inciampa in una serie di cristallizzazioni secolari, ma sembra addirittura spoetizzante voler andare a trovare il perchè di questo festival di luci riflesse che si lasciano accendere anche da un cerino. C’è il buio eterno qua sotto ma dentro il buio c’è una festa di splendori e si vorrebbe restare abbagliati da questa cascata di luci, incollarsi allo schermo di questa parete di roccia e guardarla come fosse un videogame da tenere acceso per trasformare una semplice visione in una vera, verissima realtà virtuale. Indimenticabile.