Si fa fatica a parlarle guardandola negli occhi, come insegna la buona educazione. La pupilla, in verità, andrebbe a frugare altrove, in questo metro e quasi ottanta di bellezza asiatica rispettosa dei canoni occidentali. Nè filiforme, né esagerata. Verrebbe da dire perfetta. O quasi.
Di vietnamita ha il nome. E gli occhi a mandorla. Anzi, a fessura. E forse anche qualche qualità privatissima, quelle che riguardano la gestione – oculata – del denaro che guadagna. Usando quello che il padreterno – ma lei non ci crede, dice che non prega e ha paura solo dei fantasmi – le ha voluto regalare. Ngoc Quyen ha 19 anni e la fortuna d’esser nata bella. Che a Saigon e in un paese come il Vietnam, significa mettere un argine di sicurezza fra povertà e serenità, distinguersi dalle altre ragazzine della sua età perché si gira il mondo e si mettono da parte mille e più dollari al mese.
Fa la modella. E si vede: scivola, non cammina. Ha gambe infinite, un seno piccolo ma impertinente, due occhi grandi e scuri incorniciati da fessure che governa come fari di un’auto: quando vuole stregare li allarga, li trasforma in abbaglianti. La bocca è inquietante: piccola come un bocciolo, disegnata come se stesse sempre sul punto di tirare un bacio. Ricorda, per quanto è possibile, il volto di una giovane Audrey Hepburn. E forse Quyen lo sa. Perché veste spesso con quella semplicità che sembra naturale e invece è figlia di una lunga ricerca. Ma i suoi modelli sono molto più vicini. Appartiene alla generazione del contemporaneo, quella che vede la storia come una cosa lontana, antica, quasi vecchia. L’ultimo libro letto? <I Manga, i fumetti>.
Tempi moderni anche nel Vietnam. Ecco perché le piace Kate Moss. Di lei le sfugge poco. Sa benissimo cos’è l’anoressia ma dice che non la riguarda, come la cocaina. <La fragilità psicologica di Kate è soltanto un suo problema personale – dice Quyen – Alcol e droga non sono certo esempi da seguire. Ma trovo che la Moss abbia straordinarie qualità professionali>.
Quyen, intanto, affina le proprie. Dice che l’hanno <scoperta> a 15 anni. E nella sua lingua, <scoperta> non consente doppi sensi. Da allora la sua vita è cambiata. Figlia di piccoli commercianti con un negozio nel centro di Saigon, è diventata il faro della famiglia. E’ lei, soprattutto, a occuparsi della madre malata, a sostenere le spese delle cure, a gettare un po’ di luce sul futuro di padre, madre e fratello: <Molto di quello che guadagno lo divido con loro, il resto lo investo>.
Sa di avere un futuro breve, <anche da noi le modelle smettono presto>, ma vuole ottenere tutto il possibile. Ha finito il liceo e studia per diventare stilista: <Come Minh Hanh, la più brava del Vietnam>. Intanto incassa due-trecento dollari a sfilata: un impiegato di medio livello, in Vietnam, un insegnante, arriva a 200 dollari al mese. <Sì, i soldi sono importanti. Ma non tanto per quello che mi consentono di avere. Direi più per quello che mi consentono di essere. A 19 anni decido da sola, sono indipendente e questo mi rende molto orgogliosa. Ma lavoro tanto. La mattina servizi fotografici, la sera sfilate o show. Non è semplice come sembra>.
Che fai, ti lamenti?
<Mai. Ma lavoro, non mi diverto soltanto>.
C’è in lei tutta la voglia che questo paese ha di vivere un futuro migliore, di non guardare la televisione pensando a un mondo che esiste soltanto altrove. Gioia e ricchezza le vogliono anche qui. E subito, se possibile. Il rischio, ovviamente, è di prendere strade sbagliate.
District 1, Ho Chi Minh city centro. C’è l’Apocalypse Now, locale storico di questa città. Qui dentro c’è l’America come i vietnamiti la immaginano, con la musica alta, i cocktail, la birra, il whisky, quel lieve odore di sudore che comincia a sentirsi quando la notte si fa alta e i corpi si incontrano, nella pista quasi non c’è più spazio, ma nessuno si urta mentre tutti si strusciano. Ho Chi Minh sa essere anche città sensuale e questo è il luogo in cui anche i sensi vengono a incontrarsi. Apocalypse Now è un locale decadente che va vissuto, più che visto. Entrarci è per molti una promozione sociale, un’esperienza avventurosa come un viaggio in un altrove che potrebbe sembrare lontano.
Quyen, ti piace l’Apocalypse? <Ci vado di rado. Quasi mai>.
Questo è il regno della rapida ascesa, dell’incontro facile e fatato, delle belle e possibili che si lasciano sedurre ma che soprattutto seducono chi in Indocina arriva con il mito dello zigomo alto e dell’occhio a mandorla. Convinzioni e atmosfera servono a far realizzare i sogni. E allora una notte da marine, almeno nell’animo, è ancora possibile fra le sedie e il bancone, sotto i grandi schermi che trasmettono gladiatori dello sport o invitanti odalische velate di niente che cinguettano da Mtv. Apocalypse è l’invenzione di un luogo che non è il Vietnam ma del Vietnam ha la suadente complicità. Ragazze senza nome sono la tentazione di una vita, l’abbraccio in cui perdersi per una notte e per sempre, capaci di cancellare il presente lasciato altrove, di avvolgere animi sofferenti o irrequieti con leasing d’affetto che hanno per armi automatiche quei lunghi capelli neri, scampoli di seta profumata, pronti a realizzare in un attimo plastiche facciali che donano il sorriso anche a chi lo aveva perduto da tempo.