La canoa è un guscio fragile nell’impeto del fiume: non basta a regalare sicurezza nella notte rumorosa e inquietante dell’ Amazzonia. Il tramonto è veloce all’Equatore, il sole scende rapido oltre la riva e quando la foresta verde si veste di nero, il buio la trasforma in un ricamo di chiaroscuri che sono una meraviglia da osservare, ma una palude di timori da affrontare. Le voci degli animali diventano una sinistra colonna sonora e nella terra degli indios la natura appare matrigna con l’ uomo tecnologico che arriva dall’ Occidente. A motore spento la canoa scivola lenta dove il Rio Negro si allarga in una piazza liquida che sembra un annuncio degli Inferi. Perché i trenta gradi dell’acqua fanno fumare la superficie del fiume nell’aria fresca della notte e i vapori si alzano lenti a confondere lo sguardo tra gli alberi che sono profili nerastri, abbracciati dalle liane. Chico è assolutamente a suo agio. Discende da una famiglia di indios brasiliani, ma ha lasciato il villaggio nella giungla parecchi anni fa, <prima che cercatori d’ oro e tagliatori d’ alberi cominciassero a massacrare la nostra gente>.
Ora vive a Manaus, tra le favelas e lo sviluppo industriale. Ed è felice ogni volta che torna sui sentieri d’ acqua dell’ Amazzonia, a mostrare i tesori di questo polmone del mondo. A chi lo segue, però, può anche capitare di restare senza respiro. <Guarda> dice Chico. E spara il suo raggio luminoso, un fascio di luce potente e tremulo, tenuto in vita da una batteria d’ automobile. <Guarda> e non vedo niente: solo fronde, rami, cespugli, liane e i vapori che salgono nella notte equatoriale. <Guarda> e sull’acqua brilla un puntino chiaro.
<E’ l’ occhio di un caimano: avrà cinque anni, è lungo un paio di metri. Restiamo qui, troppo pericoloso avvicinarsi con questa canoa>.
Resiste, il caimano, al fulmine fastidioso della luce; finché si stanca, abbassa la palpebra e se ne va. <Guarda>, ricomincia Chico. E su un albero appare il bottone rosso dell’ occhio di una civetta. <Ora le andiamo vicino: porta fortuna>. “Non da noi, Chico”. E il malaugurio si concretizza e la piazza d’ acqua si affolla di pericoli. Chico si entusiasma, riscopre la sua antica vocazione di cacciatore in questo safari sul fiume che ora ha per obiettivo il tronco cavo di un albero che sboccia in mezzo alla laguna. Guardo e vedo benissimo un gigantesco ragno, peloso come un orso: fermo, immobile, a mezzo metro da noi. <Ha otto occhi, è velenoso, può saltare>. E noi restiamo a guardare, come spettatori di un film dell’orrore, stregati da questa orribile e micidiale macchina della natura che fa ribrezzo e adesso minaccia un ratto, un topone che ha fatto la tana pochi centimetri più in alto. C’è pure un’anaconda, a completare la comitiva dell’apocalisse, uno di quei serpenti d’ acqua che superano i 15 metri e che la leggenda del <cobra grande> vuole lunghi più di 30.
E i piranha fanno già parte di noi, perché li abbiamo mangiati a cena, nella zuppa preparata da donna Flor: saporita ed eccitante, come dice Chico, che al gusto stopposo dei pesci carnivori associa straordinari effetti erotici.
Abbracciato dall’amaca che penzola sul ponte, Chico ricorda le sue battaglie: “Qui abbiamo donne eccezionali”. Questa è terra fertile di miti e leggende, come quella delle Amazzoni, che poi ha battezzato il luogo. Una società di sole donne, belle e potenti, ricche e spietate. Avevano l’ oro e sottomettevano gli uomini, ai quali si rivolgevano un paio di volte l’ anno per interminabili festini che qualche maschio indebolito dalle prestazioni pagava anche con la morte. Oggi sul Rio si cerca scampo da altro tipo di tragedie. Gli indios sono minacciati dalle fiamme e dalle malattie, e ora anche dalla scarsità di cibo, perché più si restringe la foresta intorno a loro, meno territorio hanno per vivere e cacciare. Ma anche chi ha scelto la strada della città, rischia molto e può contare su poco. Si dice che a Manaus commissionare un omicidio costi solo qualche manciata di dollari. <Vero>, conferma Chico, <E se si va nei sobborghi, San Josè, Avorada, Tancredo, si trovano ragazzini disposti a tutto. A 14 anni vivono in bande, armati di coltelli e machete: si nutrono di crack e cocaina e, quando serve, sanno usare la pistola>.
Girano minacciosi per le stradine di Manaus, un avamposto nella foresta che il tempo ha trasformato in metropoli con un milione e mezzo di abitanti, una zona franca per acquisti senza tasse, incentivi fiscali per le imprese che investono nella provincia, un porto che è capolinea di tutti i traffici che scorrono sul Rio, leciti e proibitissimi. Sulle navi ormeggiate fino alla quarta fila, come in un disordinato ingorgo, c’ è posto per banane e plastica da riciclare, pietre preziose e oro, droga, armi. <L’ unico mercato che qui non fa arricchire è quello delle auto – spiega Carlo, un italo-tedesco-brasiliano che ha scelto l’ Amazzonia per vivere e lavorare – se ne rubano pochissime, perché bisogna fare qualche migliaio di chilometri per rivenderle: troppo faticoso. Ma la delinquenza è inferiore rispetto alle altre città brasiliane. E comunque Manaus non è più capitale di vizi e piaceri>.
In ogni caso, provano a godersi la vita. Punta Norte è la Copacabana di Manaus. Spiaggia bianca adagiata sul Rio Negro prima della sua confluenza con il Solimoes in quello strano matrimonio fluviale che forma, appena qualche chilometro a est della città, il Rio delle Amazzoni. Lì è un ribollire di schiume e gorghi, una miscela di liquidi che sembrano non piacersi e scorrono paralleli per decine di chilometri, le acque acide e scure del Rio Negro e quelle marroni e melmose del Solimoes. E’ proprio qui, raccontano, che vive Boto, il delfino seduttore, che poi migra per torrenti e canali e distribuisce gravidanze alle donne che fanno il bagno nei fiumi: tant’ è che i figli di <padri ignoti> vengono spesso indicati sui registri dei villaggi come <figli di Boto>. Non è raro che i marmocchi nascano senza un padre certo, perché anche nella foresta il Brasile resta una terra libertina. Ed è proprio a Punta Norte che sbocciano gli incontri di Manaus, in questa Copacabana amazzonica attrezzata come una Rimini equatoriale. Sfilano sul lungofiume i locali del ritrovo, Jonathan, Pedrina, Chez Charouf, piccoli ristoranti e bar affollati, dove si beve caipirinha e si mangia calderada, la zuppa di pesce locale, si incrociano gli sguardi, si scambiano chiacchiere, si sorride e si va via. Sciamano anche qui ragazzine dall’età inconfessabile, con i volti trasformati in maschere da strisce di rossetto e pennellate di rimmel, i corpi esposti come quadri naif, con la pelle mulatta fasciata appena da top e pantaloncini sempre rigorosamente bianchi. Corpi offerti ai turisti, ancora rari e per questo apprezzatissimi, che arrivano fin qui. <Prostituzione? – dice Carlos – un po’ ce n’è, come ovunque. Ma non è questa la destinazione per un turismo sessuale che è sempre legato al mare e all’ ozio sotto l’ ombrellone. Alla fine del Rio, verso le grandi spiagge del nordest, c’ è una vera industria del sesso e la gente è profondamente cambiata, pensa molto al denaro. Qui riescono ancora a restare semplici: hanno quasi niente, si accontentano di poco e sono felici. O perlomeno vivono in allegria>.
I problemi cominciano dove finisce la civiltà dell’ uomo bianco, dove la foresta è il grande inferno verde che tagliatori d’ alberi e cercatori d’ oro hanno provato a violare e bruciare. Ogni anno vanno in fumo migliaia di ettari e ogni mese crescono le sofferenze delle tribù. Anche sui muri di Manaus sono comparsi quei manifesti che hanno fatto il giro del mondo, regalando a chiunque li abbia visti un rimorso che il tempo rende sempre più pesante.
<Quero viver>, voglio vivere, dicono gli occhi di un bambino <yanomami> aggrappato alla madre, inutilmente attaccato al suo seno, perché nè il piccolo, nè la donna hanno qualcosa da mangiare. <Un grido – dice ancora il manifesto – che viene dal profondo dell’ umanità>. Sopravvivono nel Roraima, qualche centinaio di chilometri a nord di Manaus, in una riserva che non riesce a proteggerli. Altre tribù si sono arrese al correre del tempo e alle comodità, altre hanno ceduto alle lusinghe dei garimperios, i cercatori d’ oro, che quando non sparano provano a usare le armi della corruzione alcolica, come fecero gli americani con gli indiani. Il risultato è che per Yanomami e altri gruppi la sopravvivenza è appesa a una disperata speranza, che il governo brasiliano non contribuisce a rinforzare. Ma per chi risale in barca il Rio Negro, i cabloco, i mulatti nati dalle veloci passioni tra indios ed europei, hanno l’ aspetto triste degli uomini costretti a subire una conversione. Vendono le cerbottane, le stesse con cui andavano a caccia e che ora vengono costruite solo per essere proposte nel mercato dei souvenir, dieci dollari a prezzo fisso, perché il cibo arriva in scatola da Manaus. Ma sul tetto di paglia delle capanne svettano le antenne satellitari, che scodellano nella foresta orizzonti metropolitani e abitudini di vita mai neppure immaginati. Globalizzazione, la chiamano, anche se qualcuno preferisce pensare a una vera contaminazione degli animi. Così le critiche non scuotono affatto Louis, un omone da 140 chili, cacciatore di jacarè, i coccodrilli delle Amazzoni, e custode di uno zoo fatto in casa gestito dai figli, soprattutto dalle bambine più piccole di 4, 5 e 6 anni. Sfilano in passerella con indosso scimmie e anaconda, come piccole top model della natura, per niente emozionate di presentare questi gioielli del mondo animale, preoccupate soltanto di catturare più dollari possibile da visitatori incantati che si commuovono per la dolcezza del muso del bradipo, la scimmia che si muove al rallentatore, e regalano dollari da destinare, lo chiedono con chiarezza, al mantenimento delle bestie e non alla crescita dei ragazzini. Naturalmente, accadrà il contrario. Terra crudele, questa che fa da contorno alle acque del Rio delle Amazzoni. Ma se si mette la prua a nord e si sfida la corrente, bastano poche decine di chilometri per fare un lunghissimo viaggio nel tempo e tornare indietro fino all’ alba dell’ uomo. A dritta e babordo sfila la grande muraglia verde, il solo panorama che riesca ad accendere di desiderio l’animo irrequieto di Chico. Guarda la notte che scende e gli occhi si trasformano in fessure, il naso si allarga come quello dei puma che oltre le rive fiutano pericoli e prede. Guarda la notte e immagina scene di caccia. Sussurra sulla canoa, mentre le piccole nuvole di vapore salgono dal fiume e imprigionano le fronde: <Questa è notte magica: mira il cielo, mira la stella del Sud. Andiamo incontro al Cobra Grande>.