I capelli arrivano alle spalle ma il tempo che corre li ha imbiancati: su quel volto magro, un po’ allungato, somigliano a una corona al merito. Quest’uomo ha buttato l’Occidente dietro le spalle e da quando ha visto le Maldive il suo futuro è diventato Oceano. Manitù resta una specie di re delle Maldive. Un re conquistatore, perché dalla brumosa Torino arrivò qui negli anni Settanta e da allora, tranne qualche rara parentesi, non se ne è più andato. <Cosa c’è chi mi piace? Tutto quello che mi dava fastidio in Europa>. Significa camminare senza scarpe, dimenticare formalità e cappotti, respirare a pieni polmoni, mangiare pesce fresco e nulla di congelato. <E guardare le stelle, che l’Occidente ha dimenticato>.
Togli la schiavitù dell’essere produttivi e scopri la poesia nell’anima. Favola antica, ma qui ancora possibile. Nonostante qualche sofferenza incateni ormai anche questo arcipelago: per il riscaldamento del pianeta che fa innalzare le acque con il pericolo che l’oceano finisca per sommergere tutto, per i colpi di stato, che si ripetono, per la voglia di diventare ricchi, tutte minacce alla serenità di queste terre che dall’aereo sembrano minucoli cuscini distesi su un lettone azzurro o piccoli pois irregolari, come forse amerebbe dipingerli Hirst.
<Ma di cosa vuoi che si accorgano i villaggi di pescatori che vivono a ore di barca da Mahè, la capitale? Per loro tutto è come sempre: sole, pesce, mare>.
Chi viene qui adora l’isolamento, chi ci è nato lo soffre. Come al solito, tutto dipende dai punti di vista. Ma quello di Manitù è ormai lo stesso da quasi 40 anni. Dice che morirà qui, ma intanto ci vive benissimo.
<Ho perso e mai recuperato 25 chili. Senza soffrire. Certo bevo solo un gin tonic ogni tanto, ho quasi cancellato la pasta ma soprattutto ho buttato a mare lo stress>. Per vivere basta poco, non si insegue più il denaro, nessun obbligo di accumulare, l’estratto conto non arriva se non richiesto: <E poi, c’è poco da guardare….>.
Un’altra vita, il sogno inseguito e quasi mai realizzato. <Arrivi a un punto che non ne puoi più e ti chiedi perché? Chatwin lo abbiamo letto tutti, no? Bene, lui si domanda in Australia “che ci faccio qui?”. Io me lo sono chiesto a casa: “che ci faccio qui?”, dove tutto è regolato dal denaro, dalle convenzioni, dall’interesse, dove perfino un’amicizia rischia di nascere dall’incrocio fra un equivoco e un egoismo, di uno che vuole sfruttare l’altro che invece non se ne è accorto. Arriva il momento di dire basta>.
Fece le valige negli anni ’70 per venire a vedere queste isole che allora non erano né conosciute né di moda. <Arrivammo e non c’era niente, solo qualche bungalow sulla spiaggia. Niente acqua dolce, si usava quella del mare, né luce, né telefono. Mi sembrò subito un paradiso>.
Guardale oggi, le Maldive. Belle sono belle, il mare è rimasto (quasi) lo stesso. Ma sono arrivati gli squilli. Nel senso che l’orizzonte è pieno di ripetitori piantati su scoglietti deserti per garantire a tutti l’uso dei cellulari. E in spiaggia il trillo è continuo, la chiacchiera ininterrotta, il mormorio delle voci cancella quasi i sussurri della risacca.
<Non mi abituo, non mi piace. Attraverso la spiaggia solo per entrare in mare, oppure vado con i pescatori a fare il bagno lontano. Posso dire che ormai disprezzo chi viene qui spinto solo per sciatteria volgare delle mode, perché si vogliono abbronzare d’inverno e non capiscono che questo è un luogo sacro>.
Qualcosa di sacro c’è davvero su queste isole dove intorno al 500 avanti Cristo sbarcarono gli Adoratori del Sole, popolo audace arrivato dalla Mesopotamia su barche di papiro. Ancora oggi i seguaci dei Redin, così li chiamano, lasciano le case di notte, salpano in silenzio e navigano accompagnati dal buio, per non farsi vedere dai nuovi pirati, che non assalgono navi ma spiagge, quelle migliaia di turisti che arrivano fin qui, pronti a impossessarsi di questa natura meravigliosa e vivere qualche giorno come fortunati Robinson Crusoe, lontani dagli affanni della civiltà.
Questo è l’eremo felice, la vacanza intelligente di chi spegne i contatori per ricaricare le batterie. E’ una collana naturale di duemila atolli che sembrano inventati per il turismo, popolati da 250 mila persone, quante ne abitano in un quartiere di Roma o Milano. Qui la capitale si chiama Malè, è un villaggio trasformato in metropoli dell’atollo, 50 mila abitanti e 11 mila biciclette, la densità di due ruote più alta del mondo, superiore perfino alla Cina. Cittadina severa, scrupolosamente musulmana, con un curioso cimitero da visitare, dove le tombe delle donne si distinguono da quelle degli uomini, perchè il gentil sesso ha un fiore scolpito sulle lapidi, mentre i maschi hanno un turbante. In fondo, gli eventi consegnano le Maldive a un’interpretazione femminile della storia patria. Perchè le cronache del 1300 raccontano che su questo arcipelago regnava la sultana Khadejaa, descritta come una specie di Barbablù con la gonna, dal carattere d’acciaio. Si impadronì del trono nel 1342 e mantenne il potere facendo fuori prima il fratello e poi, uno dopo l’altro, i due mariti che avevano provato a spodestarla. Una sorta di vendetta del gentil sesso che per secoli era stato anche vittima di sacrifici umani. La leggenda racconta che furono proprio i Redin a diffondere il terrore sulle isole inventando gli spiriti maligni, chiamati jinni. Uno di questi, con il sinistro nome di Rannamaari, obbligò le popolazioni a sacrificare giovani vergini minacciando sofferenze di ogni tipo. Finchè un nordafricano di passaggio, Abu Al Barakat, si travestì da donna e riuscì a scacciare lo spirito maligno leggendogli un passo del Corano. Era la metà del 1100, la religione di Maometto stava trionfando.
Oggi è l’unico paese al mondo interamente musulmano, 100 per cento di fedeli ad Allah, con una pratica di vita quotidiana che il tempo ha modellato a una tranquilla tolleranza, anche nei confronti di costumi che non appartengono a questa cultura e a questa civiltà. Correttezza e buon senso, vorrebbero che le signore d’Occidente rinunciassero al topless: o che per conquistare un’abbronzatura integrale noleggiassero una barca, quelle che qui chiamano dhoni. Hanno la prua alta, quasi un simbolo della fierezza di chi governa le onde lungo queste latitudini.
Ci sono isole che hanno fatto la storia del viaggiare. Murattitime, in maldiviano si chiamava Vabbinfaru, poi Bodhuiti, Alimatha, Kuda Rha, la prima dove venne costruita una inutile piscina, Kihaad, con la <suite Totti>, perché il calciatore della Roma per un periodo ci andava ad ogni Natale. Era il posto magico della Valtur di Maria Concetta Patti. Non sembrava possibile che la natura potesse essere stata così perfetta da stendere sott’acqua una moquette colr sabbia, senza nemmeno un sassolino, un pezzetto di corallo, ma soltanto un soffice tappeto dove fare il bagno in un arcobaleno di azzurri. Maria Concetta Patti, Lady Valtur, come veniva chiamata, sorrideva di tanto stupore: <No – disse – non siamo entrati in acqua con i trattori: è sempre stato così>.
Quante sorprese, quanti amori, quante paure, anche, hanno regalato le Maldive. Gli elicotteri sovietici che precipatavano, scassoni vecchi e quasi mai revisionati, prima che i collegamenti fra le isole fossero affidati agli idrovolanti. L’idea strampalata che in un paradiso della natura tutto fosse consentito, anche farsi le canne. E invece, con il rigore tipico dei musulmani, chi si è acceso un spinello è finito in galera, con pene anche troppo lunghe: cella con vista sull’oceano, ma dietro le sbarre.
Manitù sbuffa: <Molti vengono qui convinti di arrivare fra i selvaggi e di poter fare quello che vogliono. Le signore, ad esempio. Questo è un paese al 100 per cento musulmano. E a loro non gliene frega niente, forse nemmeno lo sanno. Prendono il sole con le tette rifatte di fuori: che possano esplodere, sai le risate… Questi poveri maldiviani per anni hanno dovuto resistere alle provocazioni di queste donne, più alte di loro, bionde, stronze. Sai quante liti nelle famiglie dei camerieri e dei pescatori? La visita al villaggio dei pescatori fa parte della vacanza. Stai qui una settimana, un giorno vai un’oretta al villaggio. Arrivano in canottiera e calzoncini, tette e cosce esposte, senza mutande e senza rispetto>. E invece la prudenza sarebbe buona compagna di vacanza. Anche per i cacciatori di abbronzatura, visto che il sole, in pieno equatore, picchia assai.
Le statistiche dicono che alle Maldive i matrimoni falliscono con sorprendente facilità: 70 unioni su 100 non superano i 10 anni. <Colpa dei tempi moderni – accusa Rehendi, 40 anni, tre figli, una delle tante abbandonate dall’ex marito – colpa di chi non rispetta più affetti e tradizioni>. E’ l’altra faccia delle Maldive, quella nascosta, che non appare mai sui depliant. Viste con gli occhi dei nativi, queste isole non sono affatto un posto dove è facile vivere. Nascono pescatori, e ancora oggi questo è un mestiere che regala tranquillità. Ma chi vuole scommettere su un futuro appena migliore, come cameriere o aiuto cuoco nei villaggi vacanza, deve sopportare la condanna della separazione delle famiglie: si va dove serve, magari a giorni di navigazione da casa, e si torna da moglie e figli una settimana ogni tre mesi. Rachid, 27 anni, due bambine, lavora nell’estremo nord dell’atollo più settentrionale, la moglie abita ancora nella loro isola, la più meridionale, dove è impiegata della dogana, in aeroporto. <Siamo fortunati – dice Rachid – abbiamo due stipendi, ma non ci vediamo mai>. Culla il piccolo sogno di aprire una pensioncina, una cosa semplice, poche camere, magari anche con un guadagno minore: <Ma almeno staremmo tutti insieme>.
Per chi viene da lontano, invece, le Maldive restano una meraviglia, un incanto che andrebbe apprezzato con semplicità. Sono diventate una coccarda da esibire nel carrello dei ricordi di vita, una meta raggiunta e spesso ripetuta, ma non sempre per passione: <Sai quante volte ci sono stato? Non ne posso più. Anche perché diciamolo, te rompi…>. Il generone romano è specialista della destinazione, c’è chi vanta dieci o quindici bollini sull’arcipelago, qualcuno perfino sulla stessa isola. <Mica me va’, ma devo accontenta’ mia moglie>. Il <disadattato maldiviano> è facilmente riconoscibile: si sente quasi prigioniero dell’isola e subisce la sindrome del naufrago sullo scoglio, diventa nervoso, cupo, ha reazioni violente, scappa dal sole e si rifugia sotto l’ombrellone, mangia e va a dormire e poi passeggia nervosamente: <Oh, due volte il giro dell’isola in mezz’ora: il tempo non passa mai…>. Il sole tramonta alle sei, puntualissimo, trattandosi di Equatore. Ci sono isole sulla quali viene organizzata una specie di ora legale per consentire di prolungare luce e permanenza sulla spiaggia. Ma volendo, ora le giornate si possono riempire. Beauty center con trattamenti di bellezza e massaggi di ogni tipo, perfino quello <tipico maldiviano> fatto con la sabbia che specialmente sulla pelle arrossata non deve essere proprio una delizia. E poi ci sono campi scuola per il golf, dove la pallina si colpisce e va dritta in mare: ma è biologica, si scioglie in acqua e non inquina. E poi corsi di qualunque cosa, tornei di burraco e pallavolo. <A pesca non va più nessuno – lamenta Manitù – c’era una bella tradizione, uscire al tramonto con i dhoni. Pesca con la lenza e grigliata in spiaggia: non si fa più, la gente non si diverte, preferiscono stare con il tablet in mano. Mavvaffanculo, ma che vengono a fare….>.
Tratto da <La mia Asia – Trent’anni di viaggi in Oriente>, Lt editore
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