Il rumore del ghiaccio che si rompe è assordante. E quel candore che abbaglia gli occhi e li fa bruciare diventa insopportabile se si sceglie la strada del coraggio e ci si lascia chiudere nella cella della follia.
“Si tenga forte”.
Bastano i meno quaranta, o forse anche meno cinquanta gradi, perchè a un certo punto non si sente più alcuna differenza, a paralizzare ogni movimento: quello che si agita e scalpita è il pianeta dell’emozione, lì dove il gelo non arriva e anzi, si scatena la frenesia dei sensi.
Il cuore galoppa, il respiro si accorcia, le mani sudano. La catena d’acciaio blocca il cancelletto di questa gabbia da pazzi e il braccio meccanico mi catapulta con rude dolcezza a un passo dalla calotta artica, dove la lama della rompighiaccio spacca e distrugge la crosta bianca, la frantuma come la cioccolata che avvolge un cremino, e la fa scrocchiare di disperazione come la cialda di un cono sotto i morsi di un goloso mangiatore di gelato. Qui sotto c’è il Baltico, coperto dai ghiacci che la natura regala al Grande Nord, qui dove comincia la Lapponia e il regno delle renne e dove Babbo Natale ha deciso ufficialmente di ritirarsi, per leggere in pace le lettere dei bambini e vivere lontano da tutti.
Ma il Vecchio non c’è a incoraggiarami con un sorriso, e il terrore che si legge nel mio volto deve essere la soddisfazione di questo equipaggio di adoratori del gelo. Mi lasciano lì come una foca, per qualche minuto che sembra un’eternità, davanti alla prua di questa nave che fa rotta verso il naufragio della mia anima.
“Bello, no?”.
Bellissimo, se si sopravvive. Come sempre il ricordo addolcisce anche le esperienza più difficili e con una vodka in mano, nel salotto di bordo, le carezze dela rompighiaccio hanno già il sapore di una simpatica avventura. Ma questo non basta al popolo delle renne. La loro passione per il gelo è sfrenata, è più di una semplice necessità di adattamento. Così alla passeggiata spaziale accanto alla rompighiaccio segue il tuffo nell’artico. Siamo oltre il circolo polare, in uno dei posti più ventosi del mondo, un deserto immacolato nelle latitudini estreme. Adesso la nave è ferma, ha spento i motori e dietro di sè ha lasciato la scia liquida del mare che ha fatto riaffiorare, spaccando migliaia di tonnellate di calotta.
“Quella è la nostra piscina”.
Piccoli iceberg galleggiano su questo lago appena creato, minuscole piattaforme diventano invitanti trampolini dai quali tuffarsi. Ma vestiti come astronauti, con tute termiche impermeabili e ad assoluta garanzia di galleggiamento. Anche qui, se si vuole sopravvivere, meglio fare poco o nulla: si deve restare sul dorso per respirare ed evitare contatti con l’acqua gelida, se proprio si decide di spostarsi bisogna muoversi con dolcezza, mai bruscamente. Il pericolo è di finire con il volto nel mare: dal viso, che è l’unica parte non protetta, potrebbe cominciare l’allagamento delle tute e sarebbero guai.
Entro e esco dal gelo liquido e giro intorno alla nave, che sembra un ferro da stiro bloccato dal ghiaccio, un semovente paralizzato, un rudere di una civiltà antica, un monumento a chi ha osato sfidare il Polo Nord, una creatura prigioniera di un’ingessatura dalla quale sembra impossibile liberarsi. Ce la farà a ripartire?
“Non le serve, lei torna in motoslitta”.
Stanno lì, invisibili, confusi nel chiarore dell’orizzonte, finchè non vengono liberate da un telo bianco che serviva a farle inghiottire dal nulla. E stanno lì minacciose, simili a renne a motore, con i manubri che sembrano corna, a pascolare benzina nei box di questo Gran Premio del gelo. Con indosso un’altra tuta termica, casco e occhiali, con l’aiuto della tecnologia che incita a sfidare la violenza della natura, si accendono i motori e si scatena la potenza sfrenata di questi cavalli vapore da Formula Uno capaci di dominare valli e dossi, divorare colline e annullare distanze che il romantico incedere delle slitte rendeva difficili da affrontare. Si sfreccia a settanta all’ora, con quaranta gradi sotto zero e la sfortuna terribile, per chi al volante ha l’obbligo di lenti, di dover abbassare di qualche millimetro il passamontagna che si infila sotto il casco per non far appannare gli occhiali. E’ la fine. Perchè bastano pochi minuti di andatura veloce, basta qualche chilometro su questi go-kart con gli sci al posto delle ruote, e l’effetto moltiplicatore che la velocità ha sulla temperatura e sugli zigomi si scatena una tempesta che in un attimo fa sbocciare i geloni.
Finchè la corsa finisce, perchè altre gare di coraggio non si possono inventare in questo paradiso incantato, dove basta la natura per mettere alla prova uomini e animali. Parcheggiate le motoslitte, finalmente esplode la poesia del silenzio, tra conifere e torbiere, e sono i passi lievi di renne e pastori ad accarezzare la neve, a lasciare il segno di una presenza che non fa rumore, non fosse per lo scampanellio gentile delle renne, fasciate con briglie blu e rosse, che avanzano lente in questa eternità ghiacciata: mantengono il ritmo secolare di quattro, cinque chilometri all’ora, perchè di più non si può chiedere a questo maestoso animale che divide la con alci, volpi artiche, ghiottoni, galli cedroni, pernici bianche. Ma nella Lapponia la regina del territorio resta lei, la Rangifer tarandus, la renna dallo spirito libero che non ma neppure farsi accarezzare: nella zona chiamata Tunturi Lappi, la Lapponia nordoccidentale, ci sono più renne che abitanti, ridotti ad appena due persone per chilometro quadrato.
I Lapponi doc, in Finlandia, sono meno di diecimila e sfiorano i sessantamila insieme ai loro confratelli che vivono tra Russia, Norvegia, Svezia. Hanno subito molto, dalla conquista dei loro territori all’obbligo di lavorare nelle miniere fino a una vera colonizzazione religiosa ma ora hanno ottenuto i diritti riconosciuti alle minoranze etniche. Hanno abbandonato le tende fatte con le pelli, abitano in normali case di legno dove usano anche il telefonino, ma restano pescatori e cacciatori e soprattutto alevatori di renne. Vivono in comunione assoluta con la foresta e considerano inalienabile la proprietà delle terre dove si erano stanziati gli avi. In Finlandia, e molti ritengono che sia proprio questo il segreto della salvaguardia dell’ambiente, il 60 per cento dei boschi appartiene a privati ma chiunque può muoversi nel territorio altrui, può sciare o pescare, pernottare in tenda o dissetarsi alle sorgenti, e deve chiedere il permesso soltanto per circolare con veicoli a motore, cacciare o accendere fuochi. Il 70 per cento del territorio nazionale è coperto dai boschi, che sono la culla della cultura e dell’economia, il luogo dove si ritemprano spirito e corpo. L’industria forestale garantisce il 40 per cento delle esportazioni totali, con legname, carta, cartone, compensati, pasta di cellulosa. Ma qui, per ogni metro cubo di alberi tagliati, ne ricresce un metro e mezzo.
Per avere più legno e più bosco hanno deciso di obbedire a una sola parola d’ordine: garantire la biodiversità conservando tutti gli elementi di particolare valore ecologico. Significa che gli alberi vecchi vengono curati e protetti, e con molta attenzione vengono trattate le aree ecotonali, cioè le zone di passaggio tra un ecosistema e l’altro: anche stagni e gruppi di rocce sono importanti, perchè garantiscono, insieme alla sopravvivenza di animali e vegetali rari, anche la ricchezza e la buona salute della foresta per gli anni che verranno.
Il colore del ghiaccio nasconde studio e attenzione. Non c’è particolare, in questo universo di alberi e neve, che non sia stato analizzato e non c’è legge o indicazione che non venga diligentemente rispettata da lapponi e finlandesi. Certo, i tempi moderni hanno portato anche qui qualche travolgente cambiamento di abitudine e i lapponi più giovani cavalcano le motoslitte per badare ai branchi di renne al pascolo e magari fanno un salto fino a Rovaniemi, dove hanno aperto molti topless bar. Ma la sera, quando sboccia la pulsatilla che annuncia la primavera, se il termometro sfiora appena lo zero, sono capaci di accendere un falò sulla neve per arrostire all’aperto le salsicce che amano tanto. E con l’aiuto della vodka fanno un tuffo nell’acqua di uno dei 190 mila laghi finlandesi. E senza la tuta termica.