Qui si viveva in pace prima che le barche scaricassero ogni giorno vocianti comitive di turisti, armati di macchine fotografiche e videocamere e travolti più dall’ansia di riprendere e filmare che dal desiderio di conoscere. Sgarbati e irrispettosi. Al punto da provocare un incidente che si racconta ancora sulle rive del lago Atitlan. Fecero infuriare il maestro di San Antonio Palopo mentre insegnava vestito con la casacca rossa, il costume tipico del suo villaggio. Si ritrovò una comitiva nell’aula dove faceva lezione a una ventina di bambini e stanco di essere protagonista involontario di film in cui non desiderava affatto comparire, mise la mano sull’obiettivo per proteggere se stesso e i suoi scolari: <Perché ci sta riprendendo? – chiese a uno stupefatto turista del “tutto compreso” – Io e i miei ragazzi abbiamo una dignità: potevate chiederci il permesso, avremmo posato per voi con piacere. Adesso, per favore, andate via>.
<Disculpe>, gli risposero, che vuol dire <Scusa>.
Ma non servì a niente.
E’ gente fiera questa che vive sulle montagne della Sierra Madre. Cinquecento anni fa custodivano una grande cultura e una straordinaria civiltà. Poi Maya e Aztechi vennero massacrati dagli spagnoli, monumenti e templi devastati. Anche le religioni, culti tribali vecchi di millenni, furono travolti da soldati che cancellarono ogni resistenza preparando l’arrivo di missionari che imposero l’uso della fede cattolica. Ora a Chichicastenango e nel resto del Guatemala si mescolano sacro e profano, Vangelo e tradizione indios. E tutte le mattine, prima che cominci il mercato, i commercianti si ritrovano a pregare nella chiesa di San Tomas, costruito sulle fondamenta del tempio Maya: si inginocchiano davanti a crocefissi e madonne, ma dopo aver sacrificato galli alla volontà degli dei, perché li aiutino a concludere buoni affari. Sulla strada si raccoglie il sangue delle bestie uccise, in chiesa si spargono incenso e petali di rosa, si versa cera calda e si depositano offerte di frutta e verdura.
E’ la storia che in questo paese accompagna la vita di ogni giorno. Tra le strade di Antigua, che fu capitale coloniale ed è impreziosita da splendide costruzioni secentesche. adagiata in una conca sulla quale svettano i tre vulcani Agua, Fuego e Acatenango. come nei sentieri della giungla che accompagnano fino ai templi Maya. A Tikal si marcia tra le piramidi, in un labirinto archeologico che stupisce per la bellezza e condannano all’ascensione forzata. Le prime costruzioni risalgono addirittura al 150 avanti Cristo, ma questa civiltà fiorì tra il IV e il X secolo: dal 1979 l’Unesco l’ha dichiarata Monumento del Mondo. Fu uno dei maggiori centri Maya, prima che la popolazione emigrasse verso Palenque e lo Yucatan, in Messico. Faticando a piedi lungo la via intitolata a Modesto Mendez si arriva alla plaza Mayor, dove due meraviglie sotto forma di templi si guardano e si contrappongono e la piramide il Giaguaro gigante trionfa con la sua bellezza. Si sale con il terrore di inciampare e quando si scenderà si avrà ancora più paura di scivolare sui gradini, e il panico da caduta suggerirà addirittura di aggrapparsi con le mani per evitare, scendendo con il volto rivolto alla pietra, di precipitare in basso. E’ anche per questo che si resta a lungo sulla terrazza più alta, cinquanta, forse sessanta metri sopra la piazza: per riprendersi dalla fatica, per ritardare il momento terribile in cui si dovrà affrontare la discesa, ma soprattutto per godere il panorama che è l’incanto della foresta, popolata ancora di scimmie urlatrici, troppo affollata di uomini.
Il labirinto archeologico nasconde uscite segrete per scappare dalla folla, suggerisce itinerari faticosi che però garantiscono il premio. L’avventura della scalata è la grande attrazione della Piramide IV, un’ora di cammino in fondo alla via Tozzer. Un gradino dopo l’altro, ci si aggrappa a scale a pioli, graffiati dalla foresta che qui assale ancora le costruzioni dell’uomo. Si sale tra radici e liane e la sommità sembra sempre più lontana: finché si arriva, e Tikal appare un morbido cuscino di foresta verde dal quale sbuca soltanto la terrazza della Piramide IV, a quasi 70 metri di altezza. Il resto del mondo Š nascosto dagli alberi, dai quali spuntano ogni tanto scimmie ed uccelli. E’ la Tikal com’era, il premio dell’ascensione.
Normalmente si pensa di restare un giorno solo a Tikal, ma chi arriva fatica a partire. A meno che non ci sia un’emergenza. Come quando stava male la piccola Alma, la testa riversa all’indietro, gli occhi ormai spenti, un fremito continuo alle gambe. La mamma era una indio convertita alla tessitura di magnifiche coperte, quegli straordinari intrecci di colori sgargianti che per qualche anno sono andati di gran moda anche da noi. Quando le dissero che la bambina aveva bisogno di essere curata, la portò dallo sciamano, perché solo quell’uomo, secondo lei, può parlare con dio. Ma non servì a guarire Alma e allora la giovane donna si decise a seguire il consigli di chi aveva già visto la città e conosceva gli ospedali. Madre e figlia salirono sulla macchina dei turisti e corsero fino all’ospedale di Guatemala City. Era meningite: e i medici della capitale non furono più bravi dello sciamano.