Luoghi magici

Dalla Kumari alle purificazioni
il dolore del fragile Nepal

 

AP I NPL NEPAL LIVING GODDESSEra già fragile. Un tesoro antico, reso vulnerabile dal tempo e ancora più dall’inquinamento, che aveva avvelenato Kathmandu e le sue strade, oltre che i suoi monumenti. E la politica, come sempre, a complicare la vita della gente, la povera gente del Nepal: prima una monarchia devastata da una faida familiare, poi i maoisti al potere, che certo non avevano migliorato la situazione. E su tutti, la protezione magica e fideistica della Kumari, la dea bambina che non può toccare terra e che “regna” sul suo popolo fino all’arrivo delle mestruazioni: poi lascia la casa di Durbar square per far posto a un’altra dea.

nepalLeggende, architetture, regole di vita fanno di questo paese un luogo unico. Che ha faticato a superare le tragedie di più di un terremoto per poi riprendere i suoi riti. A cominciare da Pashupatinath, il più sacro e famoso di tutti i santuari nepalesi indù. E’ adagiato sulle rive del Bagmati dove nel I secolo d.C. c’era già un tempio, per alcuni storici costruito addirittura nel III a.C. Secondo la mitologia, il dio Shiva e la sua consorte Parvati vivevano nei pressi del Bagmati, tributario del Gange a Pashupati, un luogo di pellegrinaggi considerato ancora più sacro di Benares. Su queste rive si svolgono i rituali delle cremazioni. Prima di accendere le pire, i parenti e il celebrante girano tre volte intorno al corpo da bruciare e sistemano sulla faccia del morto una lampada a olio. Non appena il sacerdote dà fuoco alla pira funeraria, i parenti si radono il capo e si purificano, secondo il cerimoniale, nelle acque del fiume. Le ceneri vengono poi disperse nel Bagmati e il celebrante porta l’anima del defunto nella dimora di Yama, il dio della morte, dove si unirà all’essenza divina. Tutto questo accade su una sponda del Bagmati, dove possono ritrovarsi solo i fedeli indù, ma sulla riva opposta ci sono una serie di terrazze dove l’accesso è libero a chiunque. Comprese le scimmie Rhesus, considerate dagli indù discendenti degli dei, del sole e delle stelle.

induProprio le scimmie, secondo un’antica storia, avrebbero avuto origine dai pidocchi caduti a terra dopo che Mamjushri, la personificazione della saggezza, aveva deciso di sottoporsi a un generoso taglio dei capelli. Mamjushri, tanto per saperlo, era quello che con una <magica spada fiammeggiante> aveva tagliato le montagne e creato la valle di Kathamndu. La nuova vita dei pidocchi scesi dai suoi capelli avrebbe consentito una crescita vigorosa dei parassiti che in poco tempo si sarebbero trasformate in robuste scimmie.

Magico Nepal. Qui il mal di denti si cura ancora piantando un chiodo nell’immagine del dio del mal di denti, Vaisha Dev. Soltanto se il dolore non passa si va dal dentista, che spesso opera all’angolo di una strada, con pinze del tutto simili a quelle che usano elettricisti o falegnami.

DSC_3861Dal mito alla storia, dalle credenze popolari alle testimonianze artistiche, il passo è brevissimo. Tutta l’architettura di questo paese è un incredibile susseguirsi di raffigurazioni di uomini, dei, animali realizzate con moltissimi materiali, compresi oro e argento, finestre intagliate e decorate con piombo, frontoni rivestiti in legno, statue in pietra. E poi costruzioni barocche, orientali, di altri stili. In un insieme che non ha eguali al mondo, fatto di stupa, pagode, chaitya, sikhara.

Durbar square è stata un museo a cielo aperto, con il Palazzo della Kumari, la pagoda dedicata a Visnù, chiamata anche Trailoka Mohan, il Kastha Mandap, uno dei templi più importanti della storia nepalese, la pietra sacra, le torri, le statue di Hanuman e Garuda e tanto, tantissimo altro ancora. E poi Kel Tole, Asan Tole, i bahal nascosti che custodiscono anche tesori dimenticati. A pochi chilometri dalla capitale, Patan e Bhagdaon, dove si ripetono altri meravigliosi spettacoli. Poi il terremoto ha costretto a un macabro censimento dei danni. Ma non c’è soltanto la grande architettura a glorificare la fede: vengono utilizzati anche pietre o tronchi d’albero come casa delle divinità, in onore delle quali spesso vengono effettuati sacrifici di animali. Si uccidono galli, simboli di stupidità, capre, che rappresentano l’invidia, anatre (indifferenza), pecore (timidezza), bufali (ira), per favorire un matrimonio, propiziare salute o un ricco raccolto, ingraziarsi la dea Kalì. Intoccabile la mucca, che anche qui è sacra, perché madre adottiva del genere umano.

DSC_3033Oltre ai sacrifici animali, che scatenano ancora roventi polemiche e una condanna totale da parte degli animalisti di tutto il mondo, ci sono anche le penitenze umane. Una tradizione vecchia di quasi 500 anni anima ancora la vita dei villaggi, per intepretare la volontà degli dei e capire se hanno in animo di regalare alle tribù un futuro tranquillo o nefasto. Funziona così. L’uomo che affronta questo martirio deve vivere per 4 giorni in solitudine, dopo essersi rasato barba, testa e sopracciglia. Per 3 giorni mangerà soltanto una volta ogni 24 ore, cibo puro, niente carne, né sale o aglio. Poi un intero giorno di digiuno. Però, chissà perchè, può fumare.

Intorno al tempio dove avverrà la cerimonia sette vergini vanno in processione per una settimana e una volta al giorno spargono in ogni direzione manciate di riso, simbolo della ricchezza, accompagnate dal suono di tamburi e campanelle.

NEPALIl dolore arriva con un ago lungo 25 centimetri, fatto apposta per la purificazione. Prima di infilarlo nella lingua del penitente, viene unto con un po’ di olio. Ed è a un sacredote a celebrare il rito, a impugnare l’ago e a spingerlo nella lingua, lentamente. Se esce sangue è cattivo segno, dimostrazione di impurità per l’uomo e il villaggio, che gli dei sapranno come punire, con cattivi raccolti, allaggamenti o siccità, con qualche morte dolorosa. Se la lingua non sanguina, invece, è buon segno, l’uomo che si è offerto al sacrificio è puro e veramente penitente. In questo caso il sacerdote alza le braccia al cielo e dà il via alla seconda parte della cerimonia. Con l’ago nella lingua, l’uomo dovrà caricarsi sulle spalle un’intelaiatura con trenta torce che porterà per tutto il villaggio, in genere oltre un’ora di cammino. Poi, potrà entrare nel tempio. E’ a questo punto che il sacerdote rimuove l’ago e chiude la ferita usando fango raccolto dal pavimento del tempio. Benedizione per tutti e tranquillità: per i prossimi 12 mesi il villaggio avrà pace e prosperità. Qualcosa, nei riti più recenti, non deve aver funzionato.

 

 

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