Le Farfalle sono tornate.
“A vent’anni dalla prima edizione, con una ricca e articolata nuova introduzione dell’autore, il grande, avvincente libro sul Sud-est asiatico”.
Con Feltrinelli celebriamo così i 20 anni di “Farfalle sul Mekong”, un classico della letteratura di viaggio, che torna in libreria con una nuova edizione, l’ottava in Universale Economica, arricchita da 20 pagine inedite.
Vi propongo un breve passo, su una piccola isola meravigliosa, Ko Lipe, nell’estremo sud della Thailandia, all’interno del Parco nazionale di Tarutao. Un posto davvero unico. Nel libro troverete questo e molto altro. Buona lettura.
In cinque ore da Bangkok si raggiunge l’Australia. Ma ci vuole lo stesso tempo per arrivare nel parco marino di Tarutao, isole sperdute quasi al confine con la Malesia, ultimo lembo geografico thailandese verso sud e ultimi paradisi selvaggi. Lontani e bellissimi.
Ne ho visti tanti di luoghi dove si vorrebbe restare e perdersi, trasformarsi in Adamo ed Eva e vivere felici di pesca e frutti appena colti. Ma un’isola nella corrente come questa non l’avevo mai trovata. E’ la marea a crearla ogni pomeriggio, fra Ko Lipe e Ko Adang, in mezzo a un canale naturale dove l’acqua pennella un arcobaleno di azzurri. Le guide suggeriscono di stare attenti, perché a volte le correnti diventano troppo forti e dunque pericolose. Fregatevene e andateci, lì dove la sabbia si allarga per qualche ora e in qualche minuto scompare, quando la marea delle sei di pomeriggio sommerge tutto, cancella quel ritrovo felice di innamorati che qui si danno appuntamento e restano distesi fra mare e cielo.
La tentazione c’è sempre: far finta che questo sia davvero un piccolo e deserto paradiso terrestre, senza intrusi né testimoni e lasciarsi andare, dimenticare abiti e orpelli, trascurare galatei e regole di comportamento e offrirsi liberi e nudi alla gioia che questa meraviglia regala. Questo è il posto giusto, un luogo unico. Ma sono in tanti a pensarla così, e dunque c’è sempre qualcuno intorno, a fare il bagno o a scattare foto ricordo. Per fortuna arriva la notte. E come seguendo un codice non scritto, quando quel lembo di terra riemerge, basta una fiaccola piantata nella spiaggia per segnalare che quel sogno per due è momentaneamente occupato, c’è qualcuno a godersi una suite della natura senza porte né pareti. E a volte, c’è perfino la coda in attesa.
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Gli italiani non arrivano a Ko Lipe, irrompono. Scatenano l’inferno. Incapaci di entrare in un punta di piedi, esplodono in un luogo, come fossero araldi di loro stessi. E’ così che una coppia di romani – ahimè, spiace dirlo, anch’io vengo orgogliosamente dalla Capitale – porta il panico nella reception del Sita beach.
Lui ha i capelli a spazzola, una quarantina d’anni, disperata voglia di restare in forma ma scarsi risultati. Lei è la versione compact di una signora prosperosa e proporzionata: recupera quei 15 centimetri di altezza che le mancano con zeppe da trampoliere e conquista sguardi con un bikini leopardato e la pancia superpiatta. Non parlano una parola di inglese, ma lui sa come fare.
<Evviva Ko Lipe, evviva l’amour> intona appena arrivato. E accarezza <passerotta>, come chiama la sua compagna. Lei fa le fusa mentre lui si impegna in una serrata trattativa sul prezzo della camera: <Eh no, meno, devi fa de’ meno> sorride minaccioso all’impiegato della reception, come se in romanesco potessero capirli.
L’addetto al ricevimento, che qualche parola di italiano ha imparato a pronunciarla, risponde: <Mangiare morning fino 10> facendo bene vedere le dita delle due mani aperte. E poi <mangiare dinner 9.30>.
<Ma non è troppo presto?> si allarma lei.
<Magnamo fori, darling> la rassicura lui.
Insuperabili, li avessero visti Sordi o Verdone li avrebbero scritturati.
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Chi cerca il nulla, lo trova dall’altra parte dell’isola, a Sunset beach, un posto da ultimi hippy. E infatti ci sono giovanottoni sgangherati o da sogno per signora, le magliette attillate che disegnano pettorali potenti e testimoniano viaggi avventurosi, Cambogia, Laos, Nicaragua. C’è pure qualche bella non orientale, come Danya, <russa siberiana>, movenze da gatta, capelli lunghi e abbronzatura integrale, volto magico e occhi magnetici: ricorda la Candice Bergen di <Soldato Blu>, film cult degli anni 70, la storia straordinaria di una bianca che viveva con i Cheyenne.
Sorride, Danya. Incarna la voglia – contagiosa – di non omologarsi, di fuggire da una civiltà considerata corrotta, di abbandonare idee e comportamenti che non si condividono, di scegliere una vita più semplice, dove il denaro non sia così importante e i bisogni più autentici di quelli che il mondo cerca di imporre.
<Ora mi va così, sono felice in quest’isola – dice – magari poi cambierò>.
Non cerca il riparo di alcuna sicurezza, insegue il brivido entusiasmante dell’improvvisazione.
<Il mondo – spiega – è diviso a metà, fra chi è convinto che ci si debba impegnare solo ad accumulare denaro e chi invece pensa il contrario, che i soldi siano un semplice strumento per vivere. C’è chi per credersi ricco deve avere molte cose e chi si sente davvero ricco soltanto se non possiede niente: la prima strada non porta da nessuna parte, l’altra alla libertà e, a volte, anche alla felicità>.
Racconta della Siberia, lasciata quando era bambina, di Mosca, di un matrimonio con un uomo molto ricco, poi la fuga, la rinuncia a tutto. <Soffro – dice – nel vedere la gente sprecare la vita: sperano in un futuro migliore ma accettano incredibili lavaggi del cervello, credono a bugie che li precipiteranno in delusioni abissali. Bruceranno i loro giorni, che non avranno mai indietro, nell’illusione che sia giusto lavorare sempre, weekend compresi. Ed invece è l’errore più grande, perché anche se hai la fortuna di amare quel che fai, alla fine non ne potrai più. Non siamo nati per lavorare troppo. La nostra esistenza è breve e leggera come un soffio. L’importante è vivere i propri sogni, rallentare i ritmi, trovare il tempo per fermarsi a sentire il profumo delle rose>.
Poco lontano dalla spiaggia c’è quel che resta di un mercantile. <Vedi – sospira Danya – non voglio fare quella fine lì, sentirmi un relitto>.
Il tempo, gli anni, i ricordi, una nuova vita: <Qui ogni mattina ho l’idea di una rinascita che non si interromperà mai>.
Dorme in un bungalow che costa meno di 20 dollari per notte: ci sono un letto con un materasso sottile, un armadio, un piccolo bagno, un ventilatore a pale: <Tutto quel che serve: altro – sorride – sarebbe inutile>.
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