E’ il paradiso facile, senza ostacoli, un distributore automatico di gioia e, qualche volta, perfino di felicità. Una piccola isola ricca di emozioni semplici: mare straordinario, acqua a temperatura ideale, sabbia che sembra davvero una spolverata di talco con un bordo ricamato di palme. A Boracay si vive ancora a velocità umana, le giornate hanno ritmi tranquilli, scorrono serene in riva al mare, il centro liquido di questo minuscolo mondo gioioso. Qui c’è la White beach, quattro chilometri di spiaggia candida, un’infinita distesa di meraviglia considerata fra le più belle del mondo. Ma anche vivace palcoscenico per una frenetica vita notturna. Perché quando il sole scompare, bastano venti minuti di trambusto e lì dove c’erano ombrelloni e lettini spuntano i tavoli di ristoranti e bar, vengono allestiti spettacoli di mangiafuoco e montate pedane per cantanti. Poi, la mattina successiva è di nuovo tutto pulito, nemmeno un avanzo di cibo: merito di una straordinaria capacità di organizzazione e della infinita voglia di lavorare dei filippini.
<Boracay non si scorda mai> dice Edith, raffinata signora con occhi a mandorla e unghie scintillanti, fasciata da un elegente costume nero intero. A guardarla sorridere così, morbidamente distesa su un lettino di fronte all’oceano, verrebbe da pensare che ricchezza e fortuna siano sempre state sue compagne di strada. E invece no. Edith è cresciuta su queste spiagge e da ragazzina era una piccola lavandaia: <In casa entravano pochi soldi – racconta – lavavamo e stiravamo lenzuola e asciugamani di un alberghetto>. Diventata grande, volò da Boracay a Manila e poi in Italia: <Tanti anni a servizio, finchè ho incontrato lui>. Lui è il danaroso marito franco-italiano, oggi innamorato dell’isola dove è nata la moglie: <Vuole sempre passare le ferie qui – aggiunge Edith – io sarei anche felice di cambiare, ma non è possibile, pure i figli si divertono. Ne abbiamo 3, dai 5 ai 15 anni, e qui sono tutti contenti: l’albergo è sul mare, dimentichiamo la macchina. Mica è facile trovare una soluzione così>.
Vacanza per famiglia, coppie, single, comitive. Non c’è categoria umana che rischi di restare delusa o insoddisfatta. Il mare offre di tutto e di più, dai corsi sub su bei fondali a quelli di vela con le paraw, le tradizionali barche filippine con il bilanciere. Chi desidera solitudine e isolamento le può trovare più a nord, oltre la Station 1, oltre Diwini beach e verso Punta Bunga dove lo Shangri-La e altri resort a 5 stelle offrono lusso discreto e mai esibito, spiagge deserte, grandi spazi, vere isole nell’isola. Ma è un peccato rinunciare alla contagiosa allegria della parte centrale di Boracay: in quel silenzio lontano e rarefatto, si potrebbe immaginare di essere in qualunque altra latitudine.
Boracay è animazione, il vociare garbato dei filippini che sussurrano più che parlare, è il ridicolo incedere di comitive di cinesi che fanno il bagno con mute proteggi sole, cappello a falde larghe ed enormi ciambelle rosa o azzurre, a seconda del sesso, per non annegare in mezzo metro d’acqua. E’ l’assedio incessante ma rispettoso di chi lungo il viale di sabbia, la walking street dove si affacciano alberghi. negozi e ristoranti, propone collanine, massaggi, giochi elettronici, escursioni, maschere e pinne: mezz’ora basta per farci l’abitudine, si smette di considerarli, perfino di vederli e non si risponde più a nessuno.
Però, che posto. C’è un’atmosfera unica, capace di rendere gradevoli i difetti di Boracay, di trasformarli quasi in caratteristiche irrinunciabili, un sottofondo di allegria autentica che fa stare bene tutti. Prendi il Mongolian buffet, ad esempio, una sorpresa assoluta. Sia perché i turisti mongoli sono ancora piuttosto rari, sia perché i buuz, ravioli ripieni di montone, non sono una specialità né conosciuta né richiesta. E pure faticosa da digerire, a 40 gradi. Ma Boracay è così, sa proporre perfino l’improponibile: e infatti questo ristorantino non è mai deserto. Per il resto, la cucina di tutto il mondo è sapientemente rappresentata, proprio perché qui arrivano da ogni dove.
La vita notturna ha sempre la spiaggia come teatro principale, ma qualcosa accade anche nel primo entroterra. C’è un locale che è passato alla storia. Anzi, è la storia di quest’isola. Si chiama Cocomangas, affacciato sulla strada principale, quella striscia d’asfalto che collega l’aeroporto alla cittadina, ma pur sempre a cinquanta metri dalla spiaggia. E’ il punto di incontro di cuori solitari e venditrici di consolazioni. C’è di tutto, come sempre accade in ritrovi di questo genere. Ma Boracay non è affatto una destinazione “hot”, i cercatori di sesso qui resteranno delusi: la ricchissima offerta di sale massaggi, proposti in decine di modi diversi, non contempla alcuna conclusione fuori dai canoni terapeutici. Di tradizioni antiche, ma in questo caso difficili da comprendere per noi occidentali, sopravvive la lotta dei galli, esibizione cruenta e crudele che appassiona gli orientali – in Vietnam, per dire, ha analogo seguito – e consente loro di dare sfogo al pericoloso vizio delle scommesse. Il virus della puntata sembra sempre più diffuso, un contagio inarrestabile. Ogni weekend si danno appuntamento nell’Arena per assistere a turpi duelli, giocando manciate di dollari sui galli che combattono armati di rostri d’acciaio legati agli artigli: chi perde va a casa con la testa fra le mani, chi vince festeggia con litri di birra.
Non è un bell’esempio per le giovani generazioni. A Boracay c’è già il problema dei ragazzini musulmani che trascurano la scuola e la mattina vanno in spiaggia per costruire “castelli di sabbia”, montarozzi sui quali scrivono in rilievo, e con grande abilità, il nome del turista che poi si fa fotografare dietro l’opera d’arte con il mare sullo sfondo. I “piccolo artisti” sono sempre in formazione da tre, sociologicamente ragionata: l’esperto di una dozzina d’anni, lo specialista di 9 o 10 e l’apprendista di 6. Si comportano tutti allo stesso modo, attenti e precisi, con un bastoncino eliminano le imperfezioni, sono già testardi e decisi e a chi pretende uno sconto ritenuto eccessivo rispondono con energia, se serve diventano anche aggressivi. Hanno bisogno di una mezz’ora di tempo e chiedono150 pesos a nome, 3 euro, e se ci sono molte lettere o devono scrivere pure “happy birthday” arrivano anche a 200. Ai quali spesso viene aggiunta anche una mancia. Per fare un raffronto, un cameriere di ristorante guadagna circa 300 pesos al giorno, più un pasto. Dunque, incassano più i ragazzini, che alla fine della giornata collezionano almeno 5 o 6 incarichi. <Sono le famiglie a chiedergli di lavorare, forse anche ad obbligarli – spiega una dei responsabili della sicurezza in spiaggia – I genitori preferiscono che portino soldi a casa piuttosto che frequentino la scuola>.
Non va bene, ma Boracay è anche questo. “Bora”, la chiamano, ma senza ripetere due volte il nomignolo, come la più nobile isola polinesiana. E proprio come avviene nei Mari del Sud, anche Bora sa regalare emozioni profonde. Ogni sera, quando il sole tramonta, all’orizzonte appare la processione laica delle vele blu, spinte dal vento, impegnate a rincorrersi leggere, una dietro l’altra, lungo quell’orizzonte che cambia colore ad ogni istante, si tinge di rosso, giallo, arancione. E accende il cielo, il mare e l’anima. Bella “Bora”.