Sono qui a Bangkok, dove c’è sempre una ragione per tornare. Una bancarella dove abbiamo bruciato le papille gustative, qualche falso da comprare, il sogno smarrito di un sorriso incrociato chissà dove, un giro sul fiume. Bangkok è la città delle promesse, dei sogni che si avverano, della consolazione. E delle piccole emozioni. Personali, personalissime. Ogni volta che vengo qui aspetto con entusiasmo il breakfast sul fiume, quello spettacolo di vita antica e ultramoderna che si ripresenta puntuale, sempre uguale e sempre diverso. E, incredibile, il Chao Phraya mi incanta e mangio perfino meno del solito, assaggio un po’ di uova strapazzate per gola, un po’ di frutta, spremuta d’arancia e, caffè e via. Adoro Bangkok e questo albergo, lo Shangri La, dove ieri mi hanno consegnato un piccolo regalo per festeggiare il mio decimo soggiorno, non la decima notte: in realtà sono molti di più, ma chissà quando hanno cominciato a registrarli. Mi hanno detto che al quindicesimo mi faranno un altro regalo. Spero passi poco tempo.
Spuntano sempre più grattacieli su questo fiume, ma danno a Bangkok quel che fino a qualche tempo mancava: una personalità metropolitana, una sua riconoscibile identità urbana. Prima era un affastagliarsi continuo e sregolato di costruzioni, oggi – non che ci sia un ordine – ma c’è un’idea di modernità. Che coinvolge tutta la città. Basta vedere l’organizzazione degli aeroporti. Il principale, il Suvarnabhumi ha un fast track eccezionale, che consente di non fare la fila al controllo passaporti pagando un piccolo sovrapprezzo: già l’idea è avanzata, pensate alle proteste in nome dell’egualitarismo che ci sarebbero da noi. Il vecchio Don Muang, dove arrivano le low cost, resta un esempio di organizzazione con il pagamento dei taxi in anticipo che fa evitare discussioni: e chi vede la lunga coda può scegliere una limousine a 700 bath, meno di 18 euro. Oppure ci sono i bus. Al confronto Fiumicino, dove trovare un taxi è come partecipare a una caccia al tesoro e gli abusivi stanno dappertutto, è indietro anni luce.
Paese moderno, vitale, oserei perfino dire coraggioso nelle scelte politiche: due fazioni si confrontano violentemente? C’è il rischio di scontri e disordini? Arrivano i militari. Con l’appoggio del re. Non piace, non va bene, non è democratico: ma qui tutto funziona e non c’è segno alcuno di un regime oppressivo. Sono i fatti che a volte sostituiscono le parole. Dibattito infinito. Ma se paragoniamo Thailandia e Italia, davvero non so dove sceglierei di vivere. O forse lo so bene. Anche per questo torno, sempre più spesso, sempre più volentieri. Convinto di quel che ho scritto venti anni fa, quando uscì la prima edizione di <Farfalle sul Mekong>: “Il caldo umido è bello quando non si ha niente da fare, quando si sta sdraiati con il corpo abbandonato e la testa persa nel nulla, perché non c’è niente da rimpiangere o altro da desiderare sulla riva del fiume di Bangkok”.