Un’isola misteriosa e selvaggia, una destinazione avvolta ancora dal fascino di un luogo aspro e che la storia racconta come terra di gente fiera e coraggiosa. Rapa Nui è stato un film emozionante, oggi l’Isola di Pasqua è destinazione ardita ma godibile. Per ammirare i Moai e senza bisogno di tuffarsi dalle scogliere.
DA EVITARE
Rapa Nui è solo un film e le eccezionali doti fisiche di quei personaggi che scalavano, nuotavano, quasi volavano, sono pressoché sconosciute ai comuni mortali. Discese ardite lanciandosi dalle scogliere e risalite aggrappati alle rocce sono impraticabili. Meglio non provarci proprio.
Non pensare di fare base sull’isola e poi saltellare per il Pacifico nella isole dei mari del Sud. Tahiti, che è la meno lontana, è a 5 ore d’aereo.
Alla larga dalla fiera dei souvenir. Non si comprano frammenti di corallo strappati dalla barriera. E tutto sommato meglio evitare, ma per una questione di gusto, anche le copie dei Moai, le colossali statue di pietre, ridotte a dimensioni da fermacarte. Curiosi gli orecchini in piuma di gallina le tavolette incise in legno e alcuni monili di ossidiana. I prezzi migluiori alla Feria Municipal.
DA NON PERDERE
Fuori dal mondo, misteriosa, selvaggia. E con il mistero del nome che però è davvero di semplice spiegazione. L’isola venne scoperta dal comandante olandese Jacobn Roggeven nella domenica di Pasqua del 1722. Poca fantasia ma scelta molto affascinante.
Il Villaggio di Orongo è il tempo cristallizzato. E’ forse il luogo più suggestivo, antico centro di culto dove viveva la casta elevata. Ci sono 53 case in pietra molto ben restaurate dove scoprire come si viveva. Ed è qui che si svolgeva la cerimonia dell’uomo uccello. Da qui, panorami spettacolari su tutta l’isola.
II motu di Kao-Kao, Iti e Nui, gli scogli dove gli antichi abitanti gareggiavano per la festa dell’uomo-uccello, carica prestigiosa che si conquistava per un anno. Il titolo spettaca a chi riusciva a trovare l’uovo della sterna scura, che si riproduceva su quei motu. Per arrivarci bisognava scendere da una parete di roccia ad Orongo e con una piccola zattera di canne arrivare alle isole. E poi tornare. In pratica, il film Rapa Nui.
Ad Ahu Te Pito Kur c’è un piccolo muro a secco dalla geometria circolare con al centro una grande pietra che per gli antichi abitanti indicava l’ombelico del mondo. Erano infatti convinti che Rapa Nui fosse l’ultimo luogo abitato della Terra distrutta da un cataclisma e loro gli ultimi uomini rimasti in vita.
Ahu Tongariki è la sfilata dei Moai, 15 gigantesche statue allineate sulla linea del loro altare. Posto magico per sensazioni ma anche per le foto ricordo.
Splendida solitudine con l’affascinante ospitalità de La Posada de Mike Rapu, un piccolo resort che accompagna fuori dal mondo, in quest’isola che è già un eremo in sé. E’ a 6 chilonmetri da Hanga Roa, la capitale, ha ottimi servizi e organizza escursioni e visite guidate. Molto bello, sempre isolato ma più vicino alla città, l’hotel Altiplanico, struttura di una prestigiosa catena cilena, costruito appena un paio d’anni fa.
Quattro spiagge, ma in fondo bastano. Anakena, che è la più grande e bella, è il ritrovo preferito degli abitanti dell’isola. Ovahe, poco lontano e Perouse e Playa Pea ad Hanga Roa, dove si praticano surf e immersioni.
Il surf ha in quest’isola uno dei suoi luoghi di elezione. Onde potenti, destre e esinistre, ma attenzione ai fondali lavici. Particolarmente impegnative le onde a Mataveri e Tahai. Si può prenedere lezione alla scuola di Alòicia Akuna Ica, celebre surfista locale.
A cavallo a Terevaka o alla Penisola Poike. Sono scorci fantastici e percorsi in sella lasciano ricordi indimenticabili. Ci si può rivolgere a gli operatori Piti Point, Pantu – www.pantupikerauri.cl – e Tadeo.
Tapati è la festa che si tiene dal 29 gennaio al 12 febbraio in cui gli abitanti dell’isola si sfidano in varie gare per eleggere la regina dell’anno. Lo svolgimento della gara ricalca le antiche festività dell’uomo uccello, cambiano solo le prove. I clan si sfidano in varie prove di sport, coraggio, canto, ballo, cucina: i vincitori del Tapati possono nominare regina la candidata del proprio gruppo.
La Grotta delle Vergini è un’avventura fra la leggende e il terrore. In questo antro venivano tenute le vergini in modo che la loro carnagione restasse più chiara. Ci si arriva percorrendo un sentiero che in un tratto è a picco sull’oceano. Una vera sfida.
Il ceviche è piatto tipici cileno, pesce crudo marinato nel lime: il migliore si mangia da Aloha anche nella versione con gamberi. Superba la terrazza del Kona Nehe Nehe per mangiare pesce di fronte all’Oceano. La Taverne du Pecher, al porto, ha ottime carni, oltre al pesce.
La è suggestiva più per il nome che per le testimonianza artistiche che si trovano all’interno. Si tratta di interessanti pitture rupestri che però appassionano soltanto i dotti amanti del genere.
TRAMONTO
Il punto più alto dell’isola è il Manga Terevaka, poco più di 500 metri, ma sufficienti per restare attoniti di fronte a un panorama spettacolare. Tramonto indimenticabile.
BALLARE
Capita ancora. Che i ragazzi arrivino nella discoteche a cavallo e lo lascino fuori dai locali. Le notti sull’isola non sono frenetiche e un paio di discoteche garantiscono animazione: Piditi, non lontano dall’aeroporto, e Toroko. Graditi dai viaggiatori i balli hula, normalmente intepretati da belle donne in gonnelline di paglia. I gruppi più celebri sono il Kari Kari che si esibisce al Ma’ara Nui, e il Matatoa che mette in scena lo show al ristorante Au Bout du Monde.